Effetti della politica monetaria sulle imprese da un punto di vista finanziario

Tutti  chiedono a gran voce ulteriori ribassi dei tassi di interesse… implicazioni per le imprese, l’importanza del risparmio.

Soluzione monetaria Vs. Azione dei mercati

collana

“ Conoscere  l’impresa dal punto di vista Economico-Finanziario”

 

Alcune delle domande che ci poniamo:

  • Quale espansione del credito è in grado di far uscire da una crisi economica
  • Dove potrà spingersi l’intervento delle banche centrali
  • Perché la politica monetaria si è dimostrata inefficace

Il punto di vista della finanza d’impresa nell’analisi degli elementi che caratterizzano la sostenibilità dello sviluppo e la redditività degli investimenti.

La scuola Austriaca:

La teoria Austriaca del ciclo economico  mette in evidenza la criticità di alcuni punti:

  • l’espansione artificiale del credito
  • la manipolazione dei tassi di interesse
  • i “cattivi investimenti” da parte delle imprese
  • la stretta creditizia e la disponibilità d risorse

 

Il documento fornisce un’illustrazione dal punto di vista della finanza aziendale di come un’azienda seguendo in modo passivo le indicazioni dei regolatori dei mercati possa dare origine a progetti di investimento sbagliati.

 

Il documento si propone di mettere in evidenza:

  • l’importanza ed il come,  fare emergere le difficoltà aziendali cercando di anticipare le criticità a tutela della  continuità aziendale  (es.: nuovo codice fallimentare), agevolare e semplificare, acquisizioni e fusioni, riduca la portata ed il tempo delle recessioni e favorisca più rapide e soprattutto sostenibili fasi di ripresa economica o sia in grado di poterle evitarle.
  • come un’azienda, rilevando componenti ed asset mal utilizzati di un’altra azienda, possa, inserendoli in un contesto diverso, renderli  profittevoli attraverso i processi di liquidazione.
  • Come la teoria Austriaca può formulare raccomandazioni utili (attraverso l’uso del processo di liquidazione) per aiutare a stimolare la ripresa economica e ridurre la portata degli effetti della crisi riportandole all’interno di un equilibrio più fisiologico.

 

Secondo la tradizionale analisi Austriaca del ciclo economico , i “cattivi investimenti”, non o non più produttivi, comunque incapaci di generare rendimenti superiori al costo del capitale investito, hanno inizio, in modo prevalente durante i boom “artificiali” (espansione del credito), attraverso sostegni monetari forzati e assistenzialismo fiscale. Questi investimenti si riveleranno “sbagliai” e dovranno  essere liquidati (a prezzi inferiori al costo originario) per poter divenire sostenibili e redditizi e generare un nuovo ciclo di generazione di valore.

La “depressione” è quindi vista come una fase necessaria e salutare, attraverso la quale l’economia di mercato abbandona e liquida gli investimenti non economici, ristabilendo l’equilibrio tra consumi e investimenti reali  non artificiosamente indotti, ovvero, realmente desiderati dai consumatori, misurati sulla loro capacità di spesa che a questo punto non deve essere ampliata (con misure di assistenza al consumo orientate a concedere denaro inducendo  a  comportamenti inutili alla soluzione). Avviare questo processo e renderlo possibile è una decisione difficile, non avrebbe consenso politico e necessiterebbe di misure strutturate, integrate e pianificate, dalla scuola, dal funzionamento del mercato del lavoro, alla seria riduzione delle imposte, in ottica di aumento del risparmio e non di incremento dei consumi.  variazioni che se prese singolarmente non sono in grado di produrre alcun effetto tranne generare ulteriori distorsioni.

La depressione è un processo doloroso ma necessario mediante il quale il libero mercato elimina gli eccessi, gli errori del boom e ristabilisce l’economia di mercato nella sua funzione di servizio efficiente per i consumatori.

Dal momento che i prezzi dei fattori di produzione nel boom raggiungono prezzi eccessivamente elevati, devono poter scendere fino a condizioni di mercato adeguate per raggiungere livelli che consentano una nuova ripresa.

 

Cosa chiediamo in un periodo di crisi ?

Cosa accade durante la fase di liquidazione successiva?

La maggior parte degli individui, anche se disposta a valutare come vere la fondatezza delle ipotesi, potrebbe affermare:

“Se e’ stata l’espansione del credito a generare i nostri problemi possiamo  riprometterci di non ripeterli, ma ora, il nostro unico  interesse è quello di poter uscire da questa situazione senza conseguenze !!! Diteci solo come uscire al meglio da questo casino. “

L’economista che affermasse semplicemente di dovere lasciare fare al funzionamento dei mercati, si troverebbe almeno immediatamente sotto attacco  preda dei, spesso, personali interessi dei politici che strumentalizzerebbero la soluzione, nei confronti dei propri elettori, non in grado di comprendere che un errore non può essere risolto da uno maggiore, ma è necessario subirne le conseguenze che saranno tanto maggiori quanto maggiore sarà il ritardo di questa consapevolezza e della conseguente soluzione.

 

La colpa è del Capitalismo !

l’interventismo potrebbe facilmente affermare che le responsabilità sono del capitalismo che ha causato la recessione, respingendo la fiducia nel sistema (ritenuto responsabile), contribuendo a genere movimenti di pensiero e di opinione contrari, persino sommosse popolari, cavalcandone il breve percorso (Vedi Grecia: la cui responsabilità è stata addossata alle politiche adottate e non alle cause originarie ed ai responsabili che le hanno generate, finanche i singoli cittadini responsabili di aver comunque goduto di privilegi che non sarebbero loro spettati e di quanti hanno accettato privilegi altrui, sull’aspettativa che fosse loro riconosciuto un altro privilegio), in Italia il tema va dalle assunzioni nel pubblico alla questione nord- sud, all’evasione ( da alcuni considerata un diritto se contrapposto allo sconquasso della macchina pubblica di milioni di persone inutilmente integrate nell’apparato e centinaia di miliardi di euro gettati, oltre ai privilegi, grandi o piccoli di molti, che garantiscono comodi  vantaggi a partire dalla modesta integrazione al reddito fino ad uno stipendio/pensione a vita, incuranti dei giovani non ancora decisivi nel momento elettorale).

 

Keynesiani Vs. Austriaci

Soluzione monetaria Vs. Azione dei mercati

Per comprendere la recessione  e costruire un piano utile per la ripresa. deve essere esaminata in dettaglio la fase di liquidazione del ciclo economico.

Lo scopo di questo documento è di tratteggiarne i contorni analizzando alcuni aspetti dell’andamento del ciclo economico dal punto di vista della finanza aziendale, dimostrando come la recessione può diventare una ripresa solo attraverso il processo di liquidazione.

le politiche keynesiane e monetariste standard, non identificano, quindi non approfondiscono, il problema degli “investimenti –sbagliati” e quindi, non sono in grado di offrire soluzioni adeguate per il recupero economico.

 

L’insostenibile “boom” degli investimenti

L’azione iniziale che avvia il ciclo economico è l’abbassamento artificiale del tasso di interesse della banca centrale. Supponiamo che la banca centrale riduca il tasso di interesse dal 5% al ​​4%, ​​con una riduzione del 20% (Precisazioni:nella realtà i “tassi” sono mossi dal mercato, le  delle Banche centrali esercitano delle influenze, parlare di “tassi” è una semplificazione dovremmo fare riferimento alla curva dei rendimenti…ma in altra sede).

Dal punto di vista dell’azienda, la riduzione del tasso  influirà sul valore attuale del capitale circolante, del capitale fisso e sul valore attuale dei flussi di cassa .

Es.:“I” è il tasso di interesse e “t” è il tasso di turnover del capitale circolante ed ammettiamo che i tassi siano portati dal 5% al 4% con una riduzione del 20% e che il fattore “t” sia pari a 3

Pertanto la variazione dei tassi incide solo per 1/3 sul circolante rispetto alla diversa dinamica degli investimenti fissi .

Dal punto di vista del valore dell’investimento l’attualizzazione dei flussi attesi in relazione alla riduzione del tasso implica una maggiore valorizzazione dei progetti iniziali che diventano più appetibili ed appaiono convenienti .

Con una riduzione del 20% dei tassi di interesse (dal 5% al 4%) e con un tasso di turnover di 3, ci sarà una riduzione del costo del capitale circolante dello 0,33% circa, un risultato  non  particolarmente sorprendente se si considerano i tre elementi:

  • L’incidenza del capitale circolante
  • il tasso di interesse sul capitale circolante
  • l’entità di riduzione del tasso

L’impatto che una variazione del tasso di interesse ha sul valore attuale del capitale fisso è molto più significativo. Supponiamo che l’impresa abbia una unità di capitale in attrezzature che producono un flusso di entrate nette, nei prossimi n anni il valore attuale scontato del capitale fisso investito in attrezzature sarebbe legato all’entità del tasso di sconto e alla durata , una variazione dei tassi di interesse dal 5% al ​​4% cambia in funzione della “longevità” dell’attrezzatura. Se n = 1, l’impatto risulta essere inferiore dell’1%, con n = 5 l’impatto è del 3% circa, per n = 10 o 20, l’impatto è rispettivamente del 5% e del 9%.

…… È chiaro che l’impatto della variazione dei tassi di interesse è maggiore sul capitale fisso che sul capitale circolante.

Pertanto, con la riduzione del tasso di interesse, le imprese non solo tendono ad investire per espandere la produzione ma tenderanno ad investimenti di più lungo periodo ampliando anche il capitale circolante a supporto degli investimenti del fisso.

Presi insieme questi aspetti, rischiano di “suggerire” i “cattivi investimenti”, proprio quelli che vengono costruiti durante la fase di boom del ciclo economico.

In questa fase i fondi sono resi disponibili attraverso l’espansione artificiale del credito condotta dalla banca centrale poi,  finalmente, la produzione si espande man mano che gli investimenti si attivano “nel tempo”.

La disponibilità e le migliori condizioni di credito inducono le aziende a fare, aumentare gli  investimenti  sulla base della “presunta convenienza” dettata dalla favorevole valorizzazione attuale dei flussi futuri inducendo le aziende a valutare come potenzialmente positivi i flussi derivanti dell’impiego dei capitali.

In modo analogo l’aumento della domanda (sempre spinta dalle condizioni favorevoli) spinge all’aumento dei costo delle risorse necessarie  contraendo la redditività quindi i margini delle imprese.

Questa confusione nelle  valutazioni deriva dalla inosservanza di un principio fondamentale : non è importante l’impiego quanto il  corretto utilizzo delle risorse ed il denaro è sempre strumentale.

 

Azioni delle Banche Centrali

 

In una situazione di “riscaldamento” dell’economia, preoccupate dalla crescita dei prezzi, le banche centrali possono decidere di :

  • fermare l’espansione monetaria
  • espandere l’offerta di moneta e/o la sua velocità

Se scegliessero di arrestare l’espansione e aumentare i tassi di interesse per paura dell’aumento dei livelli   dei prezzi, adotterebbero una politica restrittiva i cui effetti sarebbero  una stretta creditizia.

Oppure potrebbero proseguire lungo una politica espansionistica determinando l’aumento dei prezzi degli input ed arrivare ad una crunch determinato dall’aumento del costo delle risorse.

 

The Crunch

Quando la crisi colpisce, ci sono almeno due problemi che l’imprenditore deve affrontare

  • l’aumento dei tassi di interesse
  • l’aumento dei costi in input.

L’aumento dei tassi di interesse impatta sia sul capitale circolante che sul capitale fisso.

Continuando con l’esempio sopra, supponiamo che il tasso di interesse inverta ed aumenti del 25%, dal 4% al 5%, l’effetto di questo cambiamento avrà l’effetto di aumentare il costo del circolante di circa lo 0,33 tenuto conto del turnover pari ad 3.

Supponendo che i prezzi di input e output rimangano costanti, l’aumento del tasso di sconto sui flussi di cassa futuri dal capitale fisso diminuirà il valore degli impieghi delle attrezzature . Per le apparecchiature/ capitali che hanno solo un altro anno di longevità, l’impatto corrisponde ad una variazione del – 1% ; per n = 5, l’impatto è -3% con n = 10 o 20, l’impatto è rispettivamente -5% e -8%. Maggiore sarà il tempo maggiore sarà l’impatto.

Sebbene l’impatto sia significativamente maggiore sul capitale fisso che sul capitale circolante,   l’impatto di una variazione del differenziale di prezzo tra input e output ha un effetto ancora maggiore sulla redditività dell’azienda.

In particolare possiamo renderci conto dell’impatto che ha una variazione del prezzo degli input sul capitale circolante infatti l’aumento del 10% degli input determina un immediato aumento delle risorse necessarie trasferendosi direttamente come aumento del costo per unità di prodotto.

In altre parole, la variazione percentuale del costo dell’input si trasla direttamente in termini di variazione percentuale della quantità di capitale circolante necessario per la produzione.

Quindi sempre supponendo un aumento dei costi di acquisto del 10 % questi trasleranno nella stessa misura sull’aumento del circolante necessario rispetto ad un aumento dei tassi di interesse che implicherà solo un aumento marginale legato alla quantità del capitale impiegato.

L’aumento del 10 % degli input si tradurrebbe in un immediato aumento dei costi, un pari aumento del 10 % del circolante al quale si aggiungerebbe un incremento (meno significativo) dello 0,33% dovuto al rialzo dei tassi (1%).

L’aumento del costo degli input riduce la redditività dell’impresa in misura assai maggiore rispetto all’aumento del costo del denaro dovuto al rialzo degli interessi.

Una volta che l’azienda ha proceduto agli investimenti in capitale fisso (e supponendo che sia stato pagato in anticipo e non finanziato), il costo per l’esborso si può ritenere sostenuto e non è rilevante ai fini della decisione dell’output.

In questo modo quando si troverà a considerare la dimensione dell’output, il solo fattore che dovrà considerare è la redditività in relazione alla dimensione del capitale circolante .

I livelli di profitto in termini di reddito netto verranno confrontati con il valore attuale direttamente confrontabile con il costo inizialmente sostenuto.

Se, utilizzando il precedente esempio, supponiamo che dopo 1 anno, i tassi di interesse tornino al 5% (dall’aliquota ridotta artificialmente del 4%) e che i prezzi di input aumentino dell’1% otterremo :

l’incremento del circolante per 1% dovuto al rialzo dei costi di input, al quale si aggiunge lo 0,33% (pari all’aumento del costo del denaro dell’1% ma in relazione al tasso di rotazione “3” del capitale necessario) ed in ultimo il ricalcolo dei flussi (semplicisticamente considerati fissi) che all’aumentare del tasso di attualizzazione ridurranno il valore attuale rispetto al precedente nel caso di n=10 anni sarà pari del 5%

 

  • prezzo input iniziale= 1000
  • prezzo input finale (+1% input)= 1010
  • variazione tassi dal 4% al 5%
  • Turnover =3
  • Prezzo output= 1060

Valori in funzione delle variazioni:

  • Valore input iniziale tassi al 4% = 378 (valore massimo)
  • Valore input finale (+1%) tassi al 5% = 258 (-33%)
  • Valore solo aumento tassi al 5%= 360 (-4,77%)
  • Valore solo aumento di 1% input = 271 (-28,30)

La perdita complessiva di valore dipende:

  1. per 85% dal solo aumento dell’ 1% degli input
  2. per, il 15% dall’aumento dei tassi nella attualizzazione dei flussi
  3. ed in modo assolutamente marginale dall’aumento del tasso sul circolante.

(Se il margine di profitto è minore, la percentuale di riduzione è maggiore.)

La contrazione dei profitti obbliga le imprese a riportare delle perdite economiche, se non contabili che per essere fermate, possono costringere l’impresa a liquidare/disinvestire il capitale fisso impiegato nei “cattivi investimenti”.

Deduzioni

Abbiamo osservato che,  durante la fase espansiva del ciclo economico le imprese hanno un incentivo ad espandere la produzione a causa di valutazioni incomplete o di presunta convenienza, ad effettuare investimenti, dovute alla riduzione dei tassi di interesse, non curando la dinamica temporale del ciclo economico quindi, non tenendo conto della contrazione dei margini di profitto che deriva da un futuro aumento dei fattori di input rispetto a possibili ulteriori rialzi dei rendimenti che,  nascondono il peso delle  valutazioni di investimento “sbagliate” continueranno a bruciare cassa se non verranno  fermate.

Per mantenere la stabilità dello squilibrio ovvero, continuare a mantenere un valore positivo di valutazioni aziendali, azioni ed obbligazioni è necessario mantenere bassi i tassi di interesse (condizione attuale).

Se la riduzione dei tassi ha un impatto sugli investimenti (in conto capitale fisso e circolante) tuttavia, l’effetto è maggiore sul capitale fisso (per durata e stock) e naturalmente per i flussi di reddito.

Durante la fase di crisi del ciclo economico, abbiamo visto aumentare sia i tassi di interesse sia i prezzi di input: la variazione dei tassi di interesse ha il minimo effetto sul capitale circolante, mentre la variazione dei prezzi di input ha un effetto maggiore (preponderante) sulla redditività del progetto, anche maggiore dell’impatto dell’aumento dei tassi di interesse sul capitale fisso.

 

Dinamiche di comportamento, profitti e perdite contabili ed economiche

Quando i tassi di interesse e i prezzi di input aumentano, l’impresa è in grado di ridimensionare lo stock di capitale circolante ed input che impiega, ma rimane bloccata con il capitale fisso.

Durante la recessione, anche se l’impresa potrebbe sperimentare un profitto contabile, il fatto rilevante è che sta vivendo una perdita economica, il tasso di rendimento del progetto può essere inferiore a quello del costo opportunità dei fondi, sia per l’aumento dei fattori di input (estremamente rilevante), che anche dall’aumento dei tassi per l’approvvigionamento (da meno rilevante a marginale), senza valutare l’impatto di una minore produttività legata al minore utilizzo degli impianti e maggiori difficoltà di praticare un ‘aumento dei prezzi dell’output in relazione alla presunta riduzione della domanda.

In questo caso la redditività del progetto rischia di scendere ben al di sotto del costo del capitale portando gli investimenti in perdita.

Nel esempio di cui sopra, per l’anno successivo, l’impresa ha un esborso di  1010,00 e riceverà solo 1060,00. Si tratta di un margine inferiore al 5% dal quale si sottraggono almeno interessi per 1,6% che fanno scivolare la redditività (in funzione del capitale realmente investito) ben al di sotto del del tasso di interesse del 5% che comunque consegna una valorizzazione attuale dell’investimento negativa.

L’azienda inizia a perdere, ed una delle valutazioni è liquidare il progetto reinvestendo i proventi magari in banca al 5%.

 

La seconda fase della liquidazione

Una società che acquista le attrezzature (capitale fisso della prima azienda ) vedrà l’investimento come una nuova decisione. Quindi considerando il nuovo costo al tasso di interesse del 5%, un progetto di n anni residui che ha un flusso di 33,5  all’anno ed un valore attuale di 258, diviene il prezzo  di riferimento per le  valutazioni successive.

La prima azienda vende in perdita e può finire per chiudere. La seconda  potrà essere in grado di realizzare un normale tasso di rendimento in relazione al ribasso al quale avrà ottenuto le attrezzature (nuovo capitale fisso).

il prezzo di riacquisto sarà inferiore a quanto inizialmente sostenuto dalla prima azienda. Questo processo di liquidazione descrive come i “cattivi investimenti” possono essere convertiti in opportunità attraverso una perdita del valore degli asset riacquistati .

 

implicazioni

Possiamo derivare dall’analisi 5 importanti implicazioni:

  1. l’aumento dei tassi di interesse, senza aumento dei prezzi di input, potrebbe non essere sufficiente per causare una recessione. La variazione percentuale della redditività dell’impresa sembra sproporzionatamente piccola rispetto all’impatto delle variazioni dei prezzi di input. Abbiamo visto la Fed ridurre la crescita monetaria quando l’inflazione (per i beni finali ed i beni in entrata) era elevata e tali azioni hanno preceduto una recessione. Tuttavia, esiste una nuova politica della Fed che deve ridurre l’espansione di denaro molto prima che gli effetti dell’inflazione si manifestino nei prezzi. In genere la curva dei rendimenti si inverte da 4 a 5 trimestri prima di una recessione. Se la relazione (inversione curva-recessione) viene interrotta, una possibile ragione potrebbe risiedere nella mancanza di aumenti dei prezzi di input. Questo documento sostiene che l’aumento dei prezzi degli input gioca un ruolo più significativo nella crisi e nelle fasi di recessione del ciclo economico rispetto all’aumento dei tassi di interesse. Mettere semplicemente in relazione la curva dei rendimenti (invertita) senza l’aumento dei prezzi di input, non fornisce indicazioni accurate rispetto all’andamento verso una possibile recessione come in passato. È importante notare che, una complicazione nel determinare i prezzi di input è che le imprese falliscono, anche la domanda di input può diminuire. Tuttavia, quelle aziende che  forniscono gli input potrebbero non funzionare, riducendo così l’offerta disponibile.
  2. Spiegando il perché le attrezzature o capitale fisso devono essere vendute a prezzi ridotti (al fine di trasformare i cattivi investimenti in attrezzature e capitale redditizie) non sembra utile per spiegare la durata delle fasi di recessione. Ci sono due ostacoli che tendono a ridurre la linearità del processo di trasformazione teorico in strutture produttive. Mentre il denaro, di cui ci occupiamo, è un bene fungibile, sostituibile, indipendentemente dal uso, le tipologie delle attrezzature che trasformiamo in (nuovo capitale fisso) hanno la necessità di essere ricomprese ed inserite in contesti spesso diversi da quelli iniziali, seppur utilizzati in modo inefficiente i beni strumentali hanno differenti gradi di specificità, complementarità e sostituibilità. Non è semplicemente una questione di riduzione del prezzo che si riduce a  collegare la macchina in un’altro processo produttivo. Il progetto nell’esempio sopra illustrato era una banale semplificazione, ma nel mondo reale tali progetti sono rari. In genere, i progetti di un’azienda devono essere integrati in altre imprese esistenti. Gli austriaci lo hanno sostenuto a lungo il semplice investimento di capitale non porta alla crescita economica, ma correttamente organizzato, le strutture di capitale guidate dal processo di mercato sono il meccanismo per la crescita. Riorganizzare i prezzi non è semplicemente sufficiente per fare uscire un’economia da una recessione. Molti capitali investiti potrebbero dover essere gettati via, persi, ed inserirne altri , in contesti profittevoli. Meccanismi che consentano l’emergere delle complessità patologiche aziendali a partire dalle evidenze contabili, economiche e finanziarie, semplicità di fusioni ed acquisizioni, ricorso al mercato del credito, quotazioni, potrebbero certamente migliorare la situazione, ricomprendendo le riforme della legge fallimentare attenta a prevenire e non accertare i casi di cattiva o mala-gestione al fine di prevenirne non solo le conseguenze ma anticipare il recupero e dare inizio ad una nuova produttività sostenibile.
  3. La terza implicazione (e anche il secondo ostacolo) riguarda la necessità dei risparmi necessari per facilitare questa trasformazione (elemento di congiunzione ed interesse tra risparmio ed imprese). Affinché la seconda o successiva impresa acquisti (attrezzature o capitale) quanto necessario dalla prima impresa, avrà necessità di fondi per completare la transazione. Il credito inizialmente creato potrà avviare solo l’inizio del ciclo del nuovo processo. Per questo sarà necessario aumentare i risparmi reali (una riduzione dei beni di consumo a favore dei beni di investimento) accelerando il processo di trasformazione. Il significato di questa osservazione è che per stimolare un’economia, i risparmi devono aumentare. Un governo interessato ad aiutare un’economia e tirarla via da a una recessione deve quindi fare quanto segue:
  • Non interferire con il processo di adeguamento dei prezzi
  • Non gonfiare nuovamente l’offerta di moneta
  • Cercare di aumentare la quantità di risparmi nel paese (attraverso liberalizzazioni e controllo della spesa oltre l’eliminazione di quella improduttiva, rimodulare le imposte  in chiave produttiva, quindi favorendo gli investimenti e non in termini assistenziali, incentivare il risparmio in modo diverso da quanto accaduto con i PIR, accelerare sulle riforme della giustizia ed in particolare sul fallimentare, promuovendo la cultura di impresa.

 

  • Le ultime due implicazioni: le politiche fiscali  e le politiche monetarie espansive non tireranno fuori l’economia da una recessione:
  • le politiche fiscali espansive sono progettate per mantenere alta la domanda aggregata di conseguenza non possono tirare fuori l’economia da una recessione perché, qualsiasi aumento della domanda aggregata comporta una pressione e successivo aumento dei prezzi degli input. Determinando quanto sopra descritto, un ritorno del capitale inferiore al costo di acquisizione. Al fine di mantenere la redditività, aumentando i prezzi di produzione, i prezzi di produzione devono tenere il passo con o superare gli aumenti dei prezzi di input. Con conseguente aumento dell’inflazione accompagnata ad un calo dei livelli di produzione fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80;
  • Le Politiche monetarie espansionistiche di base, si rivelano una soluzione ingenua, progettate per cercare di uscire da una recessione attraverso lo stimolo degli investimenti non si curano del funzionamento del ciclo e della logica finanziaria , ovvero, tengono separata la crescita di finanza dal risultato economico, ignorando i “cattivi–investimenti” che continuano ad essere sostenuti in logica paternalistica ed assistenziale, inibendo  lo sviluppo e la crescita delle imprese più profittevoli e capaci, in sintesi non possono estrarre un’economia da una recessione. I capitali improduttivi devono essere lasciati attraverso il processo di liquidazione.

 

Il caso più eclatante del fallimento delle politiche fiscali e monetarie espansionistiche riguarda l’economia giapponese dal 1990.

 

Riassumendo le implicazioni del punto di vista della finanza aziendale:

 

  1. L’aumento dei prezzi dei fattori di produzione è condizione necessaria per provocare una recessione economica e prevale rispetto all’aumento dei tassi di interesse (ai livelli attuali la politica monetaria è irrilevante)
  2. Le attrezzature, il capitale fisso improduttivo deve essere smobilizzato e ceduto a prezzi ridotti tali da consentire ai nuovi soggetti investimenti con profili di rendimento adeguati e sostenibili.
  3. Un aumento dei risparmi accelererà il processo di trasferimento.
  4. La politica fiscale espansionista non aiuta una economia ad uscire dalla recessione
  5. La politica monetaria espansionistica non aiuta una economia ad uscire dalla recessione

 

La scuola Austriaca ha il pregio di spiegare il ciclo del business. È solo la comprensione della causa che consente di determinare le politiche da seguire per generare una ripresa economica (non senza conseguenze).

I governi che seguono prescrizioni contrarie potranno solo beneficiare nei brevi contesti definiti dal ciclo elettorale di riportare “VITTORIE VUOTE DI SOSTENIBILITA’ ” segnando fallimenti sempre più gravi e scaricando sul precedente, le responsabilità della loro incapacità. Prezzi in rialzo e stagnazione, sono alcuni degli effetti già evidenti.

I monetaristi impediscono ai tassi di interesse di salire anche in modo artificioso o “alternativo”.

La via d’uscita dalla recessione passerà comunque attraverso un doloroso ma necessario processo di liquidazione (Deflazione da debito), aumentando i risparmi e promuovendo delle riforme molte delle quali non sono politicamente popolari.

Grazie per la vostra attenzione.

Ruggero Mancini

 

 

 

 

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