
La globalizzazione o per essere più esatti la sua gestione ed “interpretazione”, almeno favorita dalla caduta del muro di Berlino, ha portato con se importanti risultati ed è alla base delle grandi trasformazioni e dei problemi che hanno caratterizzato l’offerta e la domanda in particolare dei prodotti e lo sviluppo del nostro sistema economico.
Relativamente all’offerta si rilevano diversi problemi, comunque critici, sia per piccole e grandi imprese, in particolare per il mercato Italiano.
La risposta delle pmi
Soprattutto le piccole imprese, che si erano di fatto divise il mercato interno senza dar peso alla competizione, che non è mai stata al centro delle politiche di sviluppo e nella strategia degli imprenditori, sono rimaste confinate nella piccola dimensione che non ha consentito loro di supportare gli investimenti necessari per uscire dalla competizione, innovando e rigenerando i prodotti.
In modo diverso, le capacità imprenditoriali sviluppate come evoluzione del posto di lavoro più che sviluppo di competenze e capacità imprenditoriali, ha limitato le capacità di sviluppo.
Con la globalizzazione le imprese, soprattutto in Italia, si sono trovate per la prima volta sullo stesso mercato competitor difficilmente contrastabili sul piano della produzione, con prodotti fabbricati nell’est del mondo, venivano offerti prodotti tutto sommato simili, ma a prezzi estremamente più contenuti.
Le strategie per rispondere avrebbero potuto essere due: A) adottare delle soluzioni per ridurre i costi, innovando i processi per poter abbattere i prezzi e quindi reggere la concorrenza; ma non c’erano margini di intervento all’interno dell’organizzazione, mancavano competenze e denaro per gli investimenti e per ottimizzare i processi (mezzi propri limitati e mercati finanziari acerbi ed immaturi sostituiti da un sistema banco-centrico spesso colluso, che ha coltivato troppe ambizioni finalizzate all’esercizio esclusivo del potere). B) l’alternativa avrebbe potuto essere evitare la concorrenza ed impegnarsi in altro, cioè innovando i prodotti, creando nuovo valore aggiunto, possibilmente non imitabile, dei vantaggi competitivi, ma la carenza di risorse finanziarie è prevalsa giustificando la scarsa capacità progettuale e la bassa competitività ed apertura alle opportunità dei mercati esterni.
La logica dell’aggregazione, con fusioni ed accorpamenti di varia natura, ovvero il percorso di aumentare la dimensione che sarebbe potuta essere l’alternativa e che avrebbe procurato di fatto le risorse finanziarie necessarie, non è stata favorita, tanto meno dai governi che si sono succeduti, in questo modo, la chiusura delle imprese è stata, ed è sempre di più vista, come triste ma unica soluzione del problema.
Anche le grandi imprese si sono trovate a dover sopportare una competizione nuova, a prezzi decisamente più contenuti. E anch’esse avrebbero potuto adottare entrambe le strategie: rimanere in competizione, ma riorganizzando il modo di produrre per sopportare costi più bassi, possibilmente investendo sui processi di produzione, e/o innovare e differenziare i prodotti, per uscire dalla competizione ma, nei fatti hanno adottato solo la prima strategia, e solo in parte: nella grande maggioranza la scelta è stata di continuare a proporre i soliti prodotti, adottando soluzioni per ridurre il più possibile i costi, senza investire per ottimalizzare i processi.
Le soluzioni
In sintesi la soluzione è stata gestire ed interpretare la globalizzazione senza coglierne l’opportunità di sviluppo ed innovazione, contraendo i costi ed aggregando il più possibile, per godere dei più alti margini possibili delle economie di scala, dalla centralizzazione delle decisioni, dei sistemi organizzativi, delle produzioni, anche e soprattutto delocalizzando la produzione, standardizzando il più possibile.
Tutto ciò contando su una domanda di basse pretese, che rinunciava alle proprie specificità.
Una strategia spesso miope, in difesa di un vantaggio in esaurimento, tutelata da politiche protezionistiche, accompagnata dalla decisione di spostare progressivamente l’attenzione sui mercati emergenti, mercati di primo prezzo, di minori pretese, ma con promessa di ritorni impressionanti se confrontati alla quantità di individui, sei miliardi di individui, un volum gigantesco.
Abbiamo rinunciato ad investire e quindi, ad innovare e competere, dall’istruzione all’industria, ridimensionando il sistema paese.
I MERCATI FINANZIARI
Negli anni 80 e 90 imprese e mercati finanziari premiavano ed operavano con strategie di medio-lungo periodo; il mercato finanziario aveva questo tipo di cultura, e di fatto premiava le imprese con strategie interessanti . Con la globalizzazione e con progressione impressionante, si è scoperto che produrre ad est e vendere ad ovest, al di là di una qualsiasi strategia, produceva nel brevissimo utili altissimi. Il “breve” e l’allucinazione che ne consegue è diventato un criterio guida del mercato finanziario, indipendentemente dal modo in cui l’utile veniva realizzato: l’importante era produrre utili elevati, subito! (nell’anno, nel trimestre), non importa se ottenuti con strategie economicamente sostenibili.
Prezzi,Margini, Utili, Lavoro: le politiche che non ci sono…
Per fare utili sempre più elevati, è stato necessario ridurre i costi, tutti i costi. Non erano sufficienti le ottimalizzazioni ottenute centralizzando il tutto, bisognava ridurre anche tutti gli altri possibili costi. Perciò tutti gli investimenti per innovare prodotti e processi si sono ridotti o azzerati. Ciò ha portato le imprese a differenziarsi sempre di meno, con la conseguenza che più o meno tutte le imprese si sono trovate in competizione diretta. Tutte facevano le stesse cose. E come sappiamo, per vincere in competizione bisogna abbattere i prezzi, sempre di più.
Ma se si abbattono i prezzi si riducono i margini, ed i margini non si possono abbassare, altrimenti il mercato finanziario “reagisce male”; quindi per non mortificare i margini si devono ulteriormente ridurre i costi. Ma i costi che hanno più consistenza sono quelli del personale: quindi mobilità! Riducendo le assunzioni che hanno colpito in particolare i giovani e pre-pensionamenti.
L’insieme delle politiche ha di fatto aumentato i costi a carico dello stato (pensioni anticipate, sistemi di sussidio, riforme pensionistiche diluite in 30 anni etc) e la mancanza di innovazione e produttività non ha consentito di assorbire l’occupazione sviluppando di fatto una avversione all’automazione, a tutto quanto si chiami con il termine “innovazione”, ritenuta responsabile dell’aumento della disoccupazione. In sintesi un vero sconquasso, non ne avremo mai la controprova, di fatto in europa siamo all’ultimo posto, dalla demografia, al debito, alla crescita.
Il fatto che tra gli stakeholders più importanti dell’impresa ci siano i dipendenti e che l’impresa di fatto sia composta dall’insieme dei dipendenti, sembra non importare più…l’impresa, il motore della ricchezza e dell’economia viene abbandonata.
Ma se la gente perde il lavoro, compera di meno, e se compra di meno le imprese vendono di meno, si riducono gli utili, bisogna abbassare i costi, bisogna fare dell’altra mobilità. Tutto ciò è una spirale che porta al collasso, è semplicemente non sostenibile ed è il vero motivo della deflazione e della preoccupazione sulla tenuta sociale.
La speculazione
Molti sono inclini a dare la responsabilità alla speculazione finanziaria, è certamente affascinante e ci solleva dalle responsabilità pensare sia colpa di qualcuno, meglio se invisibile, ma, credo sia semplicemente “ingenuo” pensarlo, d’altronde la speculazione svolge un ruolo di riequilibrio, fa il suo compito, se le condizioni lo consentono….
Ve la prendereste se qualcuno vi sorpassasse a destra? Molti risponderanno si, io penso che se qualcuno mi sorpassa a destra probabilmente non occupavo la posizione corretta e non c’è molta differenza tra chi sorpassa a destra e chi si ostina a percorrere la corsia di sinistra.
Dare la colpa al Leone è semplice ma, troppe gazzella distruggerebbero l’eco-sistema, la natura ha le sue regole e l’uomo in tutte le sue attività e manifestazioni non vi sfugge.
La speculazione ha funzione di riequilibrio, è una forza del mercato della quale dobbiamo tenere conto, rimanendo attenti ed evitando comportamenti che la avvantaggino come, per esempio iniziare a fare “finanza per l’economia” e non “finanza per la finanza”.
L’uomo
L’esempio dei mutui “ sub-prime ”, prestiti ad altissimo rischio, dati a persone che non potevano offrire garanzie, sono la punta di migliaia di operazioni di finanza ingegnerizzata fine a se stessa, i famosi derivati, tanto demonizzati, sono solo degli eccellenti strumenti che dovrebbero essere valutati in modo indipendente dall’uso che ne è stato fatto e dalle intenzioni di coloro che li hanno collocati al “grande pubblico”.
Ancora oggi pochi distinguono lo strumento dal suo utilizzo, e nella proposta l’intenzione dal fine.
Conosci l’uomo se vuoi comprendere l’economia, comprendi l’uomo se conosci la finanza.
Ruggero Mancini